domenica 22 aprile 2012

As time goes by...


L’ultimo video di Madonna mi ha folgorata: la Vero ha l’età di mia madre (gloriosa classe 1958) ma non credo di aver mai avuto un fisico come il suo in vita mia. E voi direte: “bella forza, lo fa di mestiere”. Sì, peccato che a 50 anni passati tra una vita come la sua, i figli e i matrimoni (solo quello con Sean Penn mi avrebbe disfatta completamente) la vecchia gallina fa ancora un ottimo brodino, mentre io, a trenta scarsi, assisto a un crollo generalizzato paragonabile all’inabissamento di Atlantide. Eh oh, c’est la vie.
Certo, sarebbe da acide andare a guardare i dettagli, vedere che quella coscia è sì smilza e soda, ma è indubbiamente una coscia di mamma, se non quasi di nonna. E visualizzo la cara Maddy tra vent’anni, ormai ultra settantenne, con un inossidabile body rosso, piena di botox fino agli occhi, che si dimena ancora come una biscia (con più prudenza, magari...sai, l’osteoporosi...) e mi chiedo per quale legge perversa alle donne sia proibito invecchiare. Viviamo 10 anni struccate, 20 ad abbellirsi e il resto della vita a cercare di dare l’impressione che il tempo per noi si sia fermato. Ma, alla fine, perché?
Virginia Woolf diceva “con tutto il tempo che ho passato a guardarmi allo specchio, avrei potuto imparare il greco” e diciamo che lei non era esattamente la Paris Hilton del Novecento. E mentre, alla faccia nostra, Rita Levi Montalcini compie allegramente centotré anni, finisco di guardare la mia amica Ciccone, qui, che si contorce con un reggiseno leopardato a mezza vista simulando l’allattamento di un cicciobello...forse non è quello fisico, l’unico invecchiamento di cui ci dovremmo preoccupare...


mercoledì 18 aprile 2012

Nel mezzo del cammin di nostra vita...

Ormai è ufficiale: i trenta sono i nuovi cinquanta. Parliamo di età, chiaramente. Una nuova tendenza si affaccia sulla scena della socio-psichiatria mondiale, ed è il fenomeno delle crisi di mezz'età in anticipo sulla tabella di marcia di una ventina d'anni. Avevo cominciato a nutrire sospetti qualche tempo fa, notando improvvisi cambi di rotta in soggetti fino ad allora più o meno normali: tutti attorno ai trent’anni, anno più anno meno. Mentre finora lo stereotipo ci proponeva il cinquantenne con capello alla Guido Panatta, pelle color Lindt e macchina rossa (decappottabile) o, peggio ancora, moto (lui che prima di allora aveva guidato solo la lambretta dal ’75 al ’77), adesso assistiamo a trentenni in preda a crisi adolescenziali fuori tempo massimo: capelli di ogni foggia e colore, cambi di partner allo stesso ritmo della biancheria intima e vita notturna da Erasmus anche se il giorno dopo si timbra il cartellino entro le 8. Forse parte della responsabilità è di una società che ci spingerebbe a non crescere mai, facendo sì che, ai primi bilanci, i trentenni si sentano in dovere di regredire di almeno dieci anni, per rincorrere una giovinezza che ormai dovrebbe evolvere naturalmente verso l’età adulta. Ma buttare il cappello in aria, se da una parte è la sostanza stessa della libertà, dall’altra genera un senso di smarrimento incolmabile. E lo vedi, eccome. Lo leggi negli occhi dell’esercito di fighette, pottini, rasta, punkabbestia etc, tutti ultratrentenni e tutti consapevoli che ormai cellulite e calvizie incipiente dovrebbero avergli fatto passare la voglia di conciarsi come adolescenti. Se penso che mia madre alla mia età aveva lavoro, marito e due figli nemmeno piccolissimi mi chiedo se fossero davvero altri tempi o magari non è la nostra generazione che si sia fatta fregare qualcosa. Barattando l’occasione di essere adulti (e quindi governare) da giovani per sfinirsi di aperitivi e feste in discoteca.


martedì 17 aprile 2012

La Cera

Ieri ho passato la cera sul martoriato parquet di casa mia, sperando nel miracolo promesso dall’etichetta: "PULISCE, LUCIDA, PROTEGGE DAI GRAFFI ... con Barriera Protettiva" ... sorridente, già pregustavo una tavola liscia e lucente come cioccolato appena fatto. Il martirio del parquet non ne ha avuto particolare giovamento, in compenso quando cammino coi calzini scivolo tipo Tom Cruise in Risky Business e potrei anche produrmi nel medesimo numero in playback, magari con una voce un filo meno maschia di quella di Bob Seeger, se non fosse che nel mio caso il Business sarebbe Risky perché potrei rovinare a terra sfasciandomi un'anca.
Allora mi parte uno dei soliti film filosofici e vedo questo scivolare come una metafora della vita, divisa tra chi pattina leggero sulle difficoltà e chi invece sdrucciolando si dimena in curva per non cadere. E' tutta questione di grazia e allenamento o c'è chi nasce già predisposto a una vita di splendide figure con costumi luccicanti, mentre la maggior parte di noi è condannata a subire i tiri meschini della forza di gravità? Ma soprattutto, se scivolare è ballare ad attrito ridotto, vale la pena passare sulla superficie delle cose senza toccarle veramente? E' così terribile cadere?
In attesa di una risposta definitiva, mi alleno a volteggiare come Karolina Costner alle Olimpiadi, tanto che potrei sfruttare quest’occasione per imparare a fare i salti carpiati, magari cercando di non atterrare nell’armadio.