lunedì 1 aprile 2013

La pazienza dei pazienti

Lo so. Sono stata latitante. Manco da mesi su questi schermi e so che per molti di voi questa assenza sarà stata fonte di disperazione (via su...). Vi chiederete che fine avessi fatto. Beh diciamo che ho avuto il mio bel da fare, e questo vi porta diritti all'argomento di questo post.
Mi auguro che nessuno dei miei lettori abbia (nè ora né mai) problemi di salute. Prima che cominciate a sollecitare le pudenda, ci tengo a precisare che, oltre all'ovvietà dell'augurio riguardo la perfetta condizione fisica di chiunque, c'è un aspetto che può rendere ancora più penosa qualsiasi indisposizione, ed è il Servizio Sanitario Nazionale. 

Supponiamo che tu soffra di un disturbo qualsiasi. Il medico generico ti prescrive una visita specialistica presso gli ambulatori ospedalieri. Chiami il centro prenotazioni. Con la Primavera di Vivaldi in sottofondo, una voce ti comunica che "la tua chiamata è la numero...........tredici in attesa", intimandoti di non mettere giù per non perdere la priorità acquisita (non sia mai).
Circa mezz'ora dopo, "la tua chiamata è la numero...........uno in attesa" e finalmente ti risponde una signora che sembra si sia appena svegliata (male) e ti chiede i dati della prescrizione, dopodiché "vediamo.....mercoledì alle settemmezzo. Si ricordi di presentarsi mezz'ora prima per l'accettazione".

Mercoledì, ore sette del mattino: dopo una sveglia indecente ti presenti ai cancelli degli studi medici ospedalieri. Albeggia. Superi la fila di anziani che affolla l'ingresso del centro prelievi (mezz'ora prima della sua apertura, in una freddissima mattina di febbraio, a conferma della resistentissima fibra della generazione precedente) e ti dirigi all'accettazione. Prendi il numero. Quattro. Ancora non hanno iniziato a ricevere i pazienti perché il banco accettazione apre alle 7:15. Guardo l'orologio: sette e due...e tre...e cinque...la fila di attesa si ingrossa..sette e otto...una delle signore dell'accettazione si impegna nell'applicazione dei principi feng shui alla sua scrivania. Alle 7:15 aprono gli sportelli, tocca a me. La signora (evidentemente parente di quella che risponde al telefono) mi indica il numero della stanza e il piano a cui mi devo recare. Arrivo alla stanza. Siamo in fila per una seconda accettazione. Arrivo al bancone e un'infermiera riempie due fogli, poi mi dice che devo pagare 30 euro alla macchinetta al piano terra. 
Torno giù e la macchinetta non accetta il mio bancoposta, non ho contanti quindi devo uscire dall'edificio e andare a prelevare alla banca 50 mt più in là. Prelevo, torno alla macchinetta, che nel frattempo causa guasto non accetta più contanti, ma solo bancomat (escluso bancoposta, s'intende).
Respiro profondamente, invocando la Mitezza sovrannaturale dei santi anacoreti, dopodiché chiamo l'inserviente dal gabbiotto lì accanto, il quale, partecipe delle mie difficoltà quanto mia madre nel conflitto del Darfur, mi suggerisce di tornare alla banca a pagare il ticket direttamente lì. Esco di nuovo, vado allo sportello, dove il commesso, al solo scrutare il mio sguardo fiammeggiante, mi sbriga il pagamento in settantacinque secondi netti.
A questo punto torno dalle infermiere, e, finalmente, vengo visitata.


E poi uno si chiede perché i medici ci chiamino "pazienti".