domenica 28 ottobre 2012

La perfida Albione

Allora. Come alcuni di voi sapranno, da un paio di settimane mi trovo in Scozia, Regno (per ora) Unito. Non mi lancerò nelle solite lamentele degli italiani sul cibo: primo, perché essendo ospite in una casa cucina-munita, mi sono data all'italico spignattamento che nemmeno le Big Mamas dei film; secondo, perché io mangio tutto e mi commuovo anche davanti a un barbarissimo fish&chips.
Posso reggere anche l'assoluta dissonanza di gusto nel vestire che causa deprimenti giri fallimentari di shopping e struggente nostalgia persino dei negozi cinesi vicino casa. Nemmeno i quotidiani incidenti mortali schivati all'ultimo secondo (perché non ho ancora capito da che parte guardare quando attraverso la strada, almeno a Londra l'hanno scritto a terra, qui no) mi farebbero desistere dall'innamoramento cross culturale. Poi alla fine anche al tempo (e alla sua variabilità) ci si fa l'abitudine, basta munirsi di ombrellino telescopico super estendibile da borsetta e abbandonare ogni velleità di liscio perfetto da spot.

Ma senza di lui no. 

Non posso vivere senza bidet.

Ora, il mio connaturato senso del pudore mi impedisce di scendere in dettagli troppo scabrosi sulle numerose occasioni in cui l'assenza del nostro amico nazionale diventi davvero pesante da sopportare, ma penso che tutti i miei connazionali lettori (specie quelli residenti all'estero) sappiano di cosa sto parlando.
E come tutte le cose semplici, quotidiane, preziosissime, non si capisce quanto valgano finché non si è costretti a farne a meno. Penso che, se venisse svolto un sondaggio tra gli iscritti all'A.I.R.E. sul nuovo simbolo dell'italianità, il bidet vincerebbe di prepotenza, probabilmente aggiudicandosi anche l'effige su qualche moneta centesimale di euro.
Non voglio passare da provinciale. Diciamo che qualche chilometro l'ho macinato anch'io. Però un conto è il viaggio, un conto è la permanenza. Quello che siamo pronti a sopportare nella provvisorietà, atterrisce se solo si immagina la prospettiva definitiva. Che poi è uno dei motivi per cui sono contraria alla convivenza. Ma questo è un altro discorso, ed è meglio non dilagare troppo. Però mi sono interrogata su come possa diventare così indispensabile qualcosa di cui il 99% della popolazione mondiale fa a meno. Senza evidenti danni permanenti, almeno. Quante altre cose, anche nei rapporti umani, riteniamo imprescindibili quando l'evidenza dimostra che non lo siano? Quanto ci attacchiamo, fino a pensare una vita insopportabile, a cose di cui non abbiamo realmente, visceralmente, biologicamente bisogno? E quanto queste "zavorre" ci impediscono davvero di incontrare l'altro nel senso più profondo e autentico del termine?
Nel frattempo, studio rudimenti di idraulica che mi consentano di piazzare un bidet in un bagno britannico: l'inizio di una nuova era.

Il prossimo passo: guerra alla moquette.

martedì 23 ottobre 2012

La rabbia di Wonder Woman

Ultimamente mi interrogo abbastanza spesso su cause ed effetti dell'immensa rabbia delle donne. Basta accendere la tv o ascoltare una conversazione tra due o più donne (l'eventuale presenza di maschi non impatta il tenore del discorso) e si sentono invettive furiose nei confronti degli uomini. Scariche inumane di ire funeste e direi disprezzo nei confronti della categoria tutta. I maschi di homo sapiens sapiens vengono dipinti come individui inutili quando non dannosi, dediti ad una non-vita edonistico-egoista, privi di senso di responsabilità e di minimo senso del pratico, tanto che, ormai si sa, le donne "starebbero molto meglio da sole".


Ora.

Recentemente ho letto che una persona si comporta inevitabilmente in accordo a come viene trattata: quindi, salvo le dovute eccezioni, se vuoi accanto un deficiente, tratta il tuo uomo da deficiente, e sarai accontentata! La lettura dei libri di Costanza Miriano è stata illuminante, da questo punto di vista: è doveroso avvertire che si tratta di opinioni forti e particolarmente controcorrente, ma se si ha la forza e sicurezza necessarie a mettersi in discussione e a sopportare un punto di vista diverso dal proprio, si attinge a una posizione alternativa, in cui la coppia non è un eterno braccio di ferro su "mio" e "tuo", ma una gara a chi valorizza di più l'altro.

Osservo le donne che conosco: vedo professioniste in crescita o affermate, in grado di gestire dodici ore di lavoro consecutive, due o più bambini (con relative attività extra-scolastiche), cura della persona e della casa. Tutte si lamentano del fatto che gli uomini non riescono a fare quanto loro. Il punto, secondo me, è che abbiamo usato la nostra naturale predisposizione al multi-tasking (tutte le femmine, dovendo gestire i piccoli, sono in grado di fare più cose insieme) come "doping" nel mondo del lavoro, dove siamo state ospitate e poi accolte dagli uomini senza però godere di regole particolari, tipo nidi aziendali di dimensioni decenti, congedi per maternità adeguati, orari flessibili, telelavoro etc etc.
E ora dico una cosa scomoda: queste non sono pari opportunità. E' come non costruire ascensori e dire a un paraplegico che può entrare nell'edificio, se riesce a fare le scale con la sedia a rotelle.

Una persona molto molto saggia, in passato, mi disse che la rabbia nasce sempre dalla repressione di altri sentimenti. Allora mi chiedo: cosa stanno reprimendo le donne? Forse quella capacità di amare con tenerezza, di ascoltare, di stimare l'altro, in primis il proprio compagno, senza pretendere da lui livelli standard (secondo lei) di efficienza, ma valorizzandolo per quello che è.
Sognamo un Romeo con fisico da Wim Diesel e savoir faire da Sean Connery ma trattiamo ogni portatore di cromosoma Y come un invertebrato.
Provate a pensare a quando dovete chiedere le ferie al vostro capo perennemente furioso. Ecco. Probabilmente il vostro Romeo si sente così nel chiedervi di uscire.

Ve lo dice una che ha tenuto l'ascia in mano fino a ieri. E poi l'ha posata. E si è accorta di non averne affatto bisogno.

Provare per credere.

mercoledì 3 ottobre 2012

Oca.exe

A volte mi chiedo se esista una ragione alla base della rappresentazione delle donne nelle pubblicità, ma soprattutto se magari io affronti tutto ciò con eccessivo spirito critico. Ma secondo me no.

Tipo.

Ultimo spot della ceretta Veet: otto squinzie in minigonna o shorts che gridano gioiose le qualità del dispositivo che scalda la cera e ti permette di depilarti "Senza complicazioni!". Ora. Dimmi, pulzella, che tipo di complicazioni vuoi incontrare nell'avventuroso mondo della cera?

Altro esempio. 

Il test di gravidanza. Da che esiste, il test consiste in uno stick con una finestrella e un tampone. Fai pipì sul tampone e nella finestrella compare una linea per dirti che hai fatto bene il test e un'altra linea se sei incinta. Mi sembra cristallino. Invece no. Nello spot del nuovo test si elogia la chiarezza del prodotto in questione che scrive "incinta" o "non incinta" nella finestra del risultato. 

Insomma, se uno arrivasse da Marte e si informasse sull'umanità attraverso la televisione, avrebbe l'impressione che le femmine di specie umana siano afflitte dai seguenti dilemmi: come prevenire e curare la cellulite, come riportare la vasca da bagno al bianco originale, come candeggiare le lenzuola bianche senza che si strappino, come mantenere disinfettato il pavimento anche dopo il passaggio di familiari maschi tornati da una spedizione nelle fogne, come riuscire a conciliare audizioni acrobatiche e sport estremi con la presenza del ciclo mestruale e soprattutto come mantenere una defecazione regolare ed efficace contro il gonfiore addominale.

Forse è una strategia post-reaganiana contro l'attacco alieno.