domenica 28 ottobre 2012

La perfida Albione

Allora. Come alcuni di voi sapranno, da un paio di settimane mi trovo in Scozia, Regno (per ora) Unito. Non mi lancerò nelle solite lamentele degli italiani sul cibo: primo, perché essendo ospite in una casa cucina-munita, mi sono data all'italico spignattamento che nemmeno le Big Mamas dei film; secondo, perché io mangio tutto e mi commuovo anche davanti a un barbarissimo fish&chips.
Posso reggere anche l'assoluta dissonanza di gusto nel vestire che causa deprimenti giri fallimentari di shopping e struggente nostalgia persino dei negozi cinesi vicino casa. Nemmeno i quotidiani incidenti mortali schivati all'ultimo secondo (perché non ho ancora capito da che parte guardare quando attraverso la strada, almeno a Londra l'hanno scritto a terra, qui no) mi farebbero desistere dall'innamoramento cross culturale. Poi alla fine anche al tempo (e alla sua variabilità) ci si fa l'abitudine, basta munirsi di ombrellino telescopico super estendibile da borsetta e abbandonare ogni velleità di liscio perfetto da spot.

Ma senza di lui no. 

Non posso vivere senza bidet.

Ora, il mio connaturato senso del pudore mi impedisce di scendere in dettagli troppo scabrosi sulle numerose occasioni in cui l'assenza del nostro amico nazionale diventi davvero pesante da sopportare, ma penso che tutti i miei connazionali lettori (specie quelli residenti all'estero) sappiano di cosa sto parlando.
E come tutte le cose semplici, quotidiane, preziosissime, non si capisce quanto valgano finché non si è costretti a farne a meno. Penso che, se venisse svolto un sondaggio tra gli iscritti all'A.I.R.E. sul nuovo simbolo dell'italianità, il bidet vincerebbe di prepotenza, probabilmente aggiudicandosi anche l'effige su qualche moneta centesimale di euro.
Non voglio passare da provinciale. Diciamo che qualche chilometro l'ho macinato anch'io. Però un conto è il viaggio, un conto è la permanenza. Quello che siamo pronti a sopportare nella provvisorietà, atterrisce se solo si immagina la prospettiva definitiva. Che poi è uno dei motivi per cui sono contraria alla convivenza. Ma questo è un altro discorso, ed è meglio non dilagare troppo. Però mi sono interrogata su come possa diventare così indispensabile qualcosa di cui il 99% della popolazione mondiale fa a meno. Senza evidenti danni permanenti, almeno. Quante altre cose, anche nei rapporti umani, riteniamo imprescindibili quando l'evidenza dimostra che non lo siano? Quanto ci attacchiamo, fino a pensare una vita insopportabile, a cose di cui non abbiamo realmente, visceralmente, biologicamente bisogno? E quanto queste "zavorre" ci impediscono davvero di incontrare l'altro nel senso più profondo e autentico del termine?
Nel frattempo, studio rudimenti di idraulica che mi consentano di piazzare un bidet in un bagno britannico: l'inizio di una nuova era.

Il prossimo passo: guerra alla moquette.

martedì 23 ottobre 2012

La rabbia di Wonder Woman

Ultimamente mi interrogo abbastanza spesso su cause ed effetti dell'immensa rabbia delle donne. Basta accendere la tv o ascoltare una conversazione tra due o più donne (l'eventuale presenza di maschi non impatta il tenore del discorso) e si sentono invettive furiose nei confronti degli uomini. Scariche inumane di ire funeste e direi disprezzo nei confronti della categoria tutta. I maschi di homo sapiens sapiens vengono dipinti come individui inutili quando non dannosi, dediti ad una non-vita edonistico-egoista, privi di senso di responsabilità e di minimo senso del pratico, tanto che, ormai si sa, le donne "starebbero molto meglio da sole".


Ora.

Recentemente ho letto che una persona si comporta inevitabilmente in accordo a come viene trattata: quindi, salvo le dovute eccezioni, se vuoi accanto un deficiente, tratta il tuo uomo da deficiente, e sarai accontentata! La lettura dei libri di Costanza Miriano è stata illuminante, da questo punto di vista: è doveroso avvertire che si tratta di opinioni forti e particolarmente controcorrente, ma se si ha la forza e sicurezza necessarie a mettersi in discussione e a sopportare un punto di vista diverso dal proprio, si attinge a una posizione alternativa, in cui la coppia non è un eterno braccio di ferro su "mio" e "tuo", ma una gara a chi valorizza di più l'altro.

Osservo le donne che conosco: vedo professioniste in crescita o affermate, in grado di gestire dodici ore di lavoro consecutive, due o più bambini (con relative attività extra-scolastiche), cura della persona e della casa. Tutte si lamentano del fatto che gli uomini non riescono a fare quanto loro. Il punto, secondo me, è che abbiamo usato la nostra naturale predisposizione al multi-tasking (tutte le femmine, dovendo gestire i piccoli, sono in grado di fare più cose insieme) come "doping" nel mondo del lavoro, dove siamo state ospitate e poi accolte dagli uomini senza però godere di regole particolari, tipo nidi aziendali di dimensioni decenti, congedi per maternità adeguati, orari flessibili, telelavoro etc etc.
E ora dico una cosa scomoda: queste non sono pari opportunità. E' come non costruire ascensori e dire a un paraplegico che può entrare nell'edificio, se riesce a fare le scale con la sedia a rotelle.

Una persona molto molto saggia, in passato, mi disse che la rabbia nasce sempre dalla repressione di altri sentimenti. Allora mi chiedo: cosa stanno reprimendo le donne? Forse quella capacità di amare con tenerezza, di ascoltare, di stimare l'altro, in primis il proprio compagno, senza pretendere da lui livelli standard (secondo lei) di efficienza, ma valorizzandolo per quello che è.
Sognamo un Romeo con fisico da Wim Diesel e savoir faire da Sean Connery ma trattiamo ogni portatore di cromosoma Y come un invertebrato.
Provate a pensare a quando dovete chiedere le ferie al vostro capo perennemente furioso. Ecco. Probabilmente il vostro Romeo si sente così nel chiedervi di uscire.

Ve lo dice una che ha tenuto l'ascia in mano fino a ieri. E poi l'ha posata. E si è accorta di non averne affatto bisogno.

Provare per credere.

mercoledì 3 ottobre 2012

Oca.exe

A volte mi chiedo se esista una ragione alla base della rappresentazione delle donne nelle pubblicità, ma soprattutto se magari io affronti tutto ciò con eccessivo spirito critico. Ma secondo me no.

Tipo.

Ultimo spot della ceretta Veet: otto squinzie in minigonna o shorts che gridano gioiose le qualità del dispositivo che scalda la cera e ti permette di depilarti "Senza complicazioni!". Ora. Dimmi, pulzella, che tipo di complicazioni vuoi incontrare nell'avventuroso mondo della cera?

Altro esempio. 

Il test di gravidanza. Da che esiste, il test consiste in uno stick con una finestrella e un tampone. Fai pipì sul tampone e nella finestrella compare una linea per dirti che hai fatto bene il test e un'altra linea se sei incinta. Mi sembra cristallino. Invece no. Nello spot del nuovo test si elogia la chiarezza del prodotto in questione che scrive "incinta" o "non incinta" nella finestra del risultato. 

Insomma, se uno arrivasse da Marte e si informasse sull'umanità attraverso la televisione, avrebbe l'impressione che le femmine di specie umana siano afflitte dai seguenti dilemmi: come prevenire e curare la cellulite, come riportare la vasca da bagno al bianco originale, come candeggiare le lenzuola bianche senza che si strappino, come mantenere disinfettato il pavimento anche dopo il passaggio di familiari maschi tornati da una spedizione nelle fogne, come riuscire a conciliare audizioni acrobatiche e sport estremi con la presenza del ciclo mestruale e soprattutto come mantenere una defecazione regolare ed efficace contro il gonfiore addominale.

Forse è una strategia post-reaganiana contro l'attacco alieno.

venerdì 28 settembre 2012

Su suggerimento di un mio amico, oggi approdiamo a uno degli argomenti più "caldi" del panorama mediatico internazionale, uno dei pilastri del mondo contemporaneo, ovvero il rapporto tra donne (nella fattispecie, me) e tecnologia. Ora, io capisco l'utilità di certi dispositivi. Capisco anche che il mondo vada avanti e non si possa continuare a scrivere con carta fatta a mano e piuma d'oca (perché non si può, vero?), ma con sempre maggiore frequenza emergono elementi che mi fanno seriamente pensare ad una nevrosi di massa. 

Esempio.

Nel silenzio dell'open space semideserto del venerdì sera, si ode una serie di rutti: ineducazione? Ministre du Petrol del Giappone in visita alla Mega Ditta?  Macché: uno dei miei stimatissimi colleghi sta semplicemente provando una nuova applicazione del suo iphone che riproduce suoni corporei di ogni sorta con un certo realismo.

E lì io mi chiedo quanto effettivamente qui si parli di progresso in senso stretto, ovvero se una maggior sofisticazione dell'elettronica ci stia portando effettivamente a diventare migliori.

Io per dire ho seri problemi con il touch screen. Normalmente le mie mani vengono considerate anche piccoline, ma sembra che non riesca ad avvicinarmi ad un tasto senza premerne almeno tre contemporaneamente. I risultati sono imbarazzanti: frasi prive di ogni senso compiuto, neologismi, parole in libertà che nemmeno Marinetti sotto benzedrina. E questo è niente. Ho scoperto di avere un nemico giurato, un subdolo persecutore che mina alla base la mia salute mentale: il T9. Mi viene spontaneo qui chiedere all'inventore di questo sistema di suggerimento che tipo di acido si fosse sparato negli attimi decisivi della progettazione. In base a quale principio, ad esempio, se scrivo "conosco", come primo suggerimento esce "bplqtcp"? Il più diabolico però è quello con il suggeritore di parole: io mi impegno con tutta me stessa a premere i micro-tastini giusti e cosa viene fuori? Messaggi tipo "Ciao come mai?apri giraffa quando premi su del". Roba che presto o tardi mi troverò la neuro alla porta di casa.
Oppure posso vestirmi di nero e sostenere di essere l'unica scrittrice di un nuovo para-linguaggio che vuole rappresentare, attraverso un uso estemporaneo del non-senso, la precarietà delle certezze del nostro tempo.
O qualche altra baggianata del genere.

sabato 1 settembre 2012

A.B.Norme

Ultimamente ho notato una cosa. 
Non si sente raccontare una storia normale che sia una. Trame allucinanti popolate da corna, intrecci assurdi, matrimoni improbabili, relazioni impossibili. Chi mi conosce sa che probabilmente su questo argomento (come su molti altri) dovrei tacere, ma c'è un fil rouge che attraversa tutte queste storie ed è il protagonista nonché causa scatenante: il Fenomeno.
Mi perdonino i miei lettori del sesso forte, il sostantivo è maschile ma in realtà il Fenomeno può provenire da entrambi gli schieramenti (incluse tutte le più recenti sfumature intermedie). Si tratta di individuo di specie umana affetto da uno o più dei seguenti sintomi:

1. Indecisione costante e perpetua
2. Egoismo
3. Cinismo
4. Edonismo
5. Fase adolescenziale mai superata
6. Erotomania
7. Generazione quasi continua di frasi alla Federico Moccia o Biagio Antonacci
8. Depressione cronica
9. Ipocondria (anche psichica, quasi spesso è convinto di soffrire di depressione)
10. Passività 
11. Rifiuto sistematico del legame in quanto impegno

Se leggendo quanto sopra vi viene in mente il soggetto che state frequentando, beh, siate consapevoli che siete incappate/i in un Fenomeno, esemplare che ha probabilmente ispirato il creatore dei diabolici pappagalli verdi esplosivi: attirano perché sembrano innocenti giocattoli, poi appena li tocchi sventrano te e chiunque altro in un raggio di diversi metri.

Il Fenomeno ti incanta, per una sua qualità o per uno dei sintomi di cui sopra, presentato nel modo giusto (un classico intramontabile: "non voglio legami perché ho sofferto troppo"), ti attira nella sua rete di non-sense e ti ci impantana, finché, ormai innamorata, non sei più capace di distinguere ciò che lo rende un Fenomeno da manuale.

Allora, consapevole di quanto sopra, cara/o amica/o, oltre a rimandarti alla visione del geniale "La verità è che non gli piaci abbastanza", ti consiglio (dal basso della mia esperienza) di stare attenta a queste avvisaglie di Fenomenologia nella tua relazione, così da bypassare le fette di San Daniele che ti saranno calate sugli occhi:
Se vi vedete poco senza ragioni specifiche, è un Fenomeno
Se quando non vi vedete non ti chiama, è un Fenomeno
Se non ti dice/scrive mai, MAI nulla di carino, è un Fenomeno
Se ti dà mezzi appuntamenti (o, peggio, appuntamenti veri e propri) e poi non si rifà vivo, è un Fenomeno
Se dopo un tempo ragionevole (tra una settimana e un mese) la vostra relazione non si struttura con una qualche forma, è un Fenomeno
Se (anche alla luce del punto 5) vi propone la Trombamicizia, è un Fenomeno
Se si vede con altre/i, è un Fenomeno
Se è già fidanzato, è un Fenomeno
Se le vostre amiche sostengono che sia un Fenomeno, è un Fenomeno.

E se a questo punto avete scoperto di essere incappate, vostro malgrado, in tale sciagura, che fare? Beh le alternative sono essenzialmente due: 
A. lasciarvi andare al vostro più puro istinto suicida e restare legate emotivamente a questo muro di gomma, confidando in un miracolo o aspettando che lui svanisca dall'oggi al domani.
B. Scappare, sparire, evaporare, volatilizzarvi, cercando un'alternativa più salutare alla frequentazione del Fenomeno, il che non dovrebbe essere nemmeno troppo difficile.

mercoledì 22 agosto 2012

Caldo imperiale

Non so a voi, ma a me ultimamente fa parecchio caldo. Dice che è l'anno peggiore dal 2003. Infatti mi ricordo che anche nel 2003 mi faceva parecchio caldo. In particolare mi rammento di certe stremanti trasferte in giornata a Milano (cosa si fa, all'inizio di una storia d'amore...) in cui i miei tacchi lasciavano inquietanti impronte nell'asfalto di corso Buenos Aires. 

La cosa peggiore del caldo, però (a parte l'effetto carta moschicida sulla pelle e il microclima che si crea su tutti i mezzi pubblici), sono i discorsi sull'afa. Uno accende la tv e sente medici che consigliano di mangiare frutta e verdura e bere molto, smontando la naturale tendenza a farsi lo stinco di maiale alla birra per il pranzo di ferragosto. I metereologi, invece, ci danno indispensabili indicazioni tipo "attenzione, mezzogiorno è l'ora in cui le temperature risulteranno più elevate", gettandoci in una sbigottita gratitudine.

L'elemento pittoresco di questa ondata di caldo, invece, è data dai nomi dei vari anticicloni che i frustrati inquilini ferragostani delle redazioni ci propinano a più non posso: Minosse, Nerone, Caligola, Caronte, Lucifero...ora, io non vorrei fare sempre la solita, ma dico, ho capito che è caldo, ma siamo anche in agosto. E normalmente, in agosto fa caldo, parecchio, più che nel resto dell'anno. E francamente, mentre la sera boccheggio sul divano come una carpa appena pescata, l'ultima cosa che mi serve è vedere un tizio in divisa che mi dice "ti fa caldo ora? E non è ancora nulla! tra due giorni arriva Lucifero e sono volatili per diabetici!", scatenandomi l'immediato impulso di prendere a testate il muro portante di casa mia.

Il problema, semmai, è che ormai si deve spettacolarizzare tutto, fare un caso di qualsiasi fenomeno che anche vagamente si scosti dal normale (anche se ogni estate ormai stiamo intorno ai 40 gradi, quindi mi chiedo come mai ogni anno sia la più calda dai tempi di Garibaldi). Tanto per metterci un po' di qualunquismo, si potrebbe dire che queste storie montate ad arte servono a seppellire i fatti che sarebbe troppo scomodo raccontare (tipo qualcuno sa che fine abbiano fatto i Marò in India o a che punto siamo con Rossella Urru?) e che magari qualcuno ha perso di vista la cronaca a favore della versione romanzata della realtà.
E allora penso al grande Achille Campanile, che diceva "Un tempo il giornalismo toglieva uomini alle lettere; oggi – il che è più grave – ne dà".

domenica 29 luglio 2012

Azioni vs BOT

Noi pulzelle (ma sono sicura anche più di qualche maschietto) siamo ormai segnate dalla malata tendenza a invischiarsi in relazioni autodistruttive. Alcune lo fanno per tentare di riscattare esperienze familiari disastrate, in realtà replicando quel cliché che facilmente le condannerà a soffrire sempre per le stesse ragioni, ciclicamente; altre, come la maggior parte, forse sono semplicemente vittime di un bombardamento cultural-mediatico che le investe del ruolo di salvatrici dell'umanità. Penso che potremmo indire una class action globale contro gli autori de "La Bella e la Bestia", ad esempio, in cui lei, bella, solare e intelligente, conosce lui, che solo in apparenza è burbero e irascibile, ma nasconde dentro di sè un cuore tutto panna.


Ecco.


Diciamolo.


Questo nella realtà non succede mai, o comunque in non più dell'1% dei casi. Nel rimanente 99% del campione, il cerbero resta tale, e le sorprese sono quasi tutte pessime. Se lui ti cornifica, ti picchia, ti tratta male, non cambierà, se non in peggio. Sappilo. 
E qui calza a pennello la similitudine geniale della mia altrettanto geniale amica Anna, ovvero che arriva un momento in cui si deve scegliere tra azioni e BOT. Le azioni, con i loro saliscendi, le variazioni umorali di ora in ora, ti danno quel frizzino da pericolo sempre imminente, ma si prestano a speculazioni temporanee (se non vuoi rischiare l'infarto) e la volta che ti imbatti in una p
Parmalat ti passa la voglia una volta per tutte.
I BOT invece, sembrano noiosi, coi loro rendimenti fissi, la cedola che arriva alla tal data, ma sono investimenti, roba con cui e su cui costruire un futuro.
E arriva fatalmente un momento in cui ci si rende conto non che non si può, ma che forse non si vuole avere tutto, e che quella sensazione di sollievo al trovare un maschio equilibrato all'altro capo del telefono forse vale la pena di essere assaporata, prima di liquidarla come noia mortale.
A meno che, certo, non siate patite degli sport estremi. Ma in quel caso vi consiglio il paracadutismo: a differenza degli amori sbagliati, se vi va male è sicuramente l'ultima volta sola.

giovedì 12 luglio 2012

Il campo minato

Credo basandosi sul granitico principio che "chi non sa fare, insegna", ci sono amici e conoscenti che si rivolgono a me per confidenze e/o consigli sentimentali. Alcuni di loro sono anche uomini, maschi di specie homo sapiens sapiens (sul secondo sapiens non sono sempre certa al 100%, ma questa è un'altra questione), e ho ravvisato nelle loro vicende un fil rouge che forse potrebbe essere eliminato con una certa facilità, almeno in superficie. Si tratta di una serie di conversazioni fisse, discussioni che iniziano, si dipanano e si risolvono con un copione quasi sempre identico, quasi sempre drammatico. Non è questa la sede per scrivere l'ennesimo, squallido vocabolario del pensiero femminile, che francamente trovo spesso un po' riduttivo e comunque riporta  varie situazioni in cui non è affatto detto che lei pensi effettivamente ciò che viene suggerito dal compendio. E, per come la vedo io, se una regola prevede qualche "dipende" di troppo, va archiviata come inefficace.
Quindi scopo di questo post è suggerire un ventaglio di possibili risposte volte a contenere i danni e possibilmente ad aumentare la quota di sensibilità che la vostra lei vi attribuirà.
Premessa doverosa, in previsione della classica obiezione che viene mossa a questo genere di post: "ma, come, voi donne non volete la sincerità?" Sì, cari uomini, vogliamo la sincerità, ma come non vi fate problemi per "interpretare" la realtà in alcuni ambiti ben precisi (contatti con ex varie, sguardi gettati a passanti discinte, luogo/modalità di permanenza durante l'addio al celibato del vostro amico etc etc) direi che possiamo allargare l'orizzonte delle situazioni in cui la prima cosa che vi viene in mente, forse, non è proprio la risposta migliore. Inoltre, sarebbe bene cominciare a distinguere tra la sincerità e la brutalità, che sono concetti abbastanza distanti, ma pratiche preoccupantemente vicine. 
Detto ciò, passiamo ai fatti.
Alcuni esempi di frasi suicide:
"Mi piaci tantissimo, non sono mai stato un patito delle figone"
"Ti amo quando sei così"
"Ah fai così l'arrosto? Mia mamma ci mette sempre la salvia..."
In questi casi (e simili) ricordate sempre il principio "less is more"!!! Basta frenare alla fine del primo periodo, e le frasi suicide di cui sopra diventano:
"Mi piaci tantissimo"
"Ti amo"
"Ah fai così l'arrosto?"
Cioè assolutamente innocue, se non addirittura utili al raggiungimento di pace e gioia nel rapporto.
"Sì" e "no" sono quasi sempre espressioni innocue, a meno che lei non sia mal disposta, ma in questo caso non avreste comunque scampo.
Infine, la Domanda a cui nessun uomo può rispondere senza trovarsi risucchiato in un vortice di violenza e follia, la Domanda davanti alla quale dovete cercare con tutti voi stessi di cambiare argomento o distrarla, magari simulando un malore piuttosto grave: 


"Caro, mi trovi ingrassata?"







lunedì 9 luglio 2012

A volte ritornano

Ci sono storie che si ripropongono, come i peperoni, a scoppio ritardato, tipicamente quando pensi di cominciare a stare meglio. Vi siete lasciati, è passato del tempo, stai già mezzo flirtando con un tipo apparentemente senza problemi psichiatrici, ed eccolo lì. Il Messaggino. Normalmente il Messaggino ha un testo apparentemente innocuo tipo:
"Ciao Gertrude, volevo sapere come stai. Un bacio, Abelardo".
Allora.
Prima di tutto vi espongo una mia teoria ormai corroborata da decine di verifiche, e cioè che un uomo che chiude un messaggio, una telefonata, una mail, una lettera, un fax, un telegramma con "Un Bacio", forse a livelli variabili di coscenza, ma ce sta a provà. E lo so che ora starete alzando le sopracciglia e pensando "ma no, non è vero, io ho un sacco di amici che mi firmano così, è solo una dimostrazione di affetto". Ecco, a parte rimandarvi al geniale dialogo di "Harry ti presento Sally" che a riguardo ha detto parole definitive, io vorrei che pensaste per un attimo all'espressione "dimostrazione di affetto" per come la intende il maschio medio (tipo lanciarsi in tornei di rutti o riempirsi di insulti gratuiti coinvolgenti anche tutta la linea genetica femminile dell'amico). Quindi occhio, quando trovate l'apostrofo rosa in chiusura a quello che state leggendo/sentendo, siate coscenti di quanto sopra, e agite di conseguenza (magari in certi casi è anche una buona notizia, vedete voi).
Secondo aspetto. Riguardo il "come stai?" di rito, mi sento meno sicura. Mi sono chiesta più volte cosa spinga qualcuno che ha preso il tuo cuore e l'ha messo in un tritacarne a chiedersi, dopo mesi, come tu stia (domanda estremamente intelligente, per altro), ma non trovo grosse logiche. E qui levata di scudi: "ma come, c'è stato l'amore, è normale che mi importi". Beh certo. Immagino che gli importasse anche quando ti ha messo le corna con la amica, quando è sparito il giorno dopo averti mollata, quando si dimenava sul cubo senza maglia tra due gnocche discinte, ovviamente senza peritarsi di documentare il tutto e caricare le foto su facebook, in modo che tutti i vostri amici potessero vedere e commentare.
E questi grandi ritorni in scena avvengono sempre lasciando scosse emotive non indifferenti, per cui si finisce quasi sempre in due-tre amiche a un tavolo a sviscerare le possibili motivazione che avrebbero spinto il primate a ricontattare la sventurata, chiedendosi (la diretta interessata sperando, le amiche dubitando) se l'ominide abbia avuto la folgorazione sulla via di Damasco e abbia capito di aver sbagliato tutto, quando, verosimilmente, tutto è frutto di un fortuito incontro col numero di lei mentre il nostro, seduto sul water, cancellava i vecchi messaggi ricevuti.
Quando sento questo tipo di racconti ho come un sussulto, sento il sangue arrivarmi alla testa e mi rendo conto che potrei dire cattiverie di magnitudo elevatissime, per cui in genere a questo punto della serata ordino il secondo bicchiere di vino.
Ma qui voglio rivolgermi a lui.
Ebbene, caro amico, scrittore di Messaggini solidali fuori tempo massimo, Nobel della letteratura sintetica, sensibile coltivatore di rami secchi, ascolta un umile consiglio: la prossima volta che ti viene l'impulso irresistibile di chiederle come sta, distraiti, fa' altro, concentra il tuo fragile encefalo su attività di maggior valore aggiunto, tipo l'ikebana, la playstation, lo scaciottamento di piedi, il bungee jumping (con o senza elastico, decidi tu).
Grazie.

lunedì 2 luglio 2012

Traviata reloaded

L'altro giorno sono stata a vedere la Traviata, al Comunale di Firenze. Eh, la vecchia Violetta ha sempre il suo fascino, specie perché, considerando il periodo in cui è stata scritta la vicenda, è un personaggio direi moderno e comunque una delle prime DIP (Donne In Paranoia) della Storia. Per carità, via libera al romanticismo (al mio solito, ho pianzottato anche un po'), ma insomma, questa sta in centro a Parigi, in mezzo alle feste e ai vip, t'arriva questo babbasone di Alfredo, che l'ha vista una mezza volta un  anno prima e quella sera se la ritrova davanti (palese approccio da festa che ora è un patetico classico, ma all'epoca evidentemente era l'ultimo ritrovato del settore) e lei, dopo una brevissima crisi di coscienza, molla baracca, baroni e burattini e va a vivere con lui fuori Parigi, per ritrovarsi a tempo record in miseria con mezzi mobili su ebay.
Però loro son felici, c'è l'Ammmore e tutto passa e "dell'universo immemore io vivo quasi in ciel". 
Mmm, bene. 
Eccoti il padre di Alfredo, Giorgio, che va a parlare con Violetta. In una scena tipo "C'è posta per te" della De Filippi, il vecchio Germont racconta la storia della figlia, che si deve sposare ma che rischia di mandare a monte tutto perché lo sposo non si vuole imparentare con una bagascia (la presente Violetta, nella fattispecie), e quindi, bisogna che lei lo molli. Lei prova anche a convincerlo, gli fa presente che, avendo la tisi, non è questione di chissà quanto. Niente. No fuga, no wedding, no party. Tragedia. Lacrime. Pianti. Poi, misteriosamente, accetta. E allora ripianta tutto lì e torna a Parigi (io, che odio i traslochi, già qui mi sarei arenata), non prima di aver accolto Alfredo di ritorno da certe commissioni e avergli giurato amore eterno (una vera genialata, in una situazione simile). Dopo essersi vaporizzata, già sulla strada per la capitale, gli manda l'equivalente di un sms (lettera a mano data a un tizio che passava di là) scrivendo una roba tipo "scusa sai mi son sbagliata, lasciamoci. xxx Vio". Alfredo, come ogni uomo allora oggi e sempre, a questo punto sbrocca. Prende, va a Parigi alla festa dove è sicuro di trovare Violetta (perché la faìna ha lasciato l'invito a casa) e pianta uno di quei casini da uomo uscito da una canzone dei Pooh: comincia a fare l'acido, battutine, a un certo punto al culmine del suo genio, davanti a tutti butta dei soldi addosso a Violetta e proclama che lui "ha pagato" (mossa di una finezza degna di Briatore alla sagra del Cinghiale). Al che la nostra si sente male dalla vergogna, mentre il padre di lui, che ha assistito a tutta la scena, gli fa un cazziatone del tipo "con tutti i soldi che abbiamo speso per farti studiare, mi sei uscito un cafone del genere". Ovviamente anche gli altri invitati alla festa disapprovano, producendosi in un coro da stadio tipo "te ne vai o no te ne vai sì o no". Cambio scena. Violetta è a letto, in camera c'è solo l'immancabile Annina. Arriva il dottore che la rassicura: "Violé, stamo a guarì", poi esce e quando Annina gli chiede come va, risponde "Mah...secondo me non arriva a stasera" ALLA FACCIA! Ho capito evitiamo il trauma, ma insomma, un minimo di senso della misura. Nel frattempo, fuori dalla finestra impazza il carnevale: mentre la nostra eroina agonizza nella tristezza generale, in strada ballano l'equivalente parigino del medley "Brazil", ad alimentare il clima depressivo. 
Al che eccoti Alfredo, finalmente. Il padre, preso da rimorso, gli ha raccontato tutta la storia e ora eccolo qui a chiedere scusa a orecchie basse e sguardo obliquo, mentre il figlio si sbraccia in grandi professioni amorose. E qui diciamo che Verdi si è fatto prendere un po' la mano. Va bene tutto, va bene che Violetta è giudicata da tutti peggio di com'è, va bene essere buone, ma che lei, in punto di morte, dia a lui la sua immaginetta dicendogli che se si sposa con un'altra lei è contenta e che addirittura, se lei sarà gelosa, lo autorizza sin d'ora a buttare il ritratto, beh, mi sembra un po' troppo, caro Beppe! Nessuna donna reagirebbe mai così all'idea che il proprio uomo si rifaccia una vita, nemmeno (anzi, tanto meno!) in punto di morte. Eccoci dunque alla fine. Violetta, dopo un'apparente ripresa, spira tra le braccia di un Alfredo disperato. Fine del dramma, note finali, lacrime, applausi.
Beh, d'altronde la veridicità non è tutto, e un dramma del genere non sarebbe potuto durare tanto, nella realtà. Sì perché, nel mondo reale, la cosa si sarebbe svolta più o meno così.

Scena 1: festa. Alfredo si avvicina a Violetta, che ride civettuola verso un duca, tutta coinvolta dai festeggiamenti VIP. 
"Ciao Violetta, ti ho visto un anno fa e da allora..."
"Che macchina hai?"
"Ma io veramente..."
(voltandosi verso il Duca) "Sì, stavamo dicendo..."
Sipario. Fine. Durata totale, 5 minuti.

domenica 1 luglio 2012

Aria

Sono appena tornata da un viaggio della speranza ai confini della realtà: Milano-Prato su intercity senza aria condizionata. 
Temperatura esterna: 60°C
Temperatura interna: 59,5°C
Composizione dello scompartimento:
-signora cingalese in sari di puro poliestere con una passione per togliersi le scarpe e mettere i piedi sulla bocca dell'aria condizionata
-ragazza cingalese figlia della signora di cui sopra con bambino minuscolo in braccio che per tre quarti del viaggio ha pianto replicando con interpretazione da oscar varie scene da "L'Esorcista"
-Signore anziano che leggeva "il Manifesto"
-Prete ortodosso eritreo che, as usual, mi ha attaccato un pippole infinito sulla storia della sua vita, e sostiene, tra le altre cose, che alla mia età (29 anni da compiere, ndr) sia ormai troppo vecchia per sposarmi e avere figli, e che il terremoto sia in realtà la punizione divina per i matrimoni gay.
Non mi sento di aggiungere altro.
Vado in doccia.

giovedì 28 giugno 2012

C'è posto per te

Oggi ci tocca un argomento spinoso, cioè rapporti umani e tecnologia. Ormai, oltre ai siti "per incontri" (che non so a voi, ma a me mettono ansia, me li immagino pieni di maniaci), esistono varie alternative all'imbrocco live, tutte ampiamente utilizzate da entrambi i sessi. Io mi iscrissi a Facebook nel 2007, spinta da un allora fidanzato super tecnologico. Passata una fase iniziale di pressoché totale ignoranza, mi scatenai nella concessione e l'aggiunta di amicizie: mi sembrava fantastico poter finalmente seguire e aggiornare i miei amici lontani avendo un contatto mail sempre valido (che palle quando cambiate indirizzo, a proposito!), e condividere le foto senza scambiarsi messaggi da decine di mega. Non ricordo esattamente il momento in cui tutto ciò si è trasformato in ciò che è adesso, ovvero una giungla telematica che ricorda molto da vicino il bancone della carne al supermercato. Immagino schiere virtuali di maschi con carrello che passano davanti alle file di ragazze con tanto di etichetta: bionda, magra, single; formosa, mora, intellettuale...e via così, aspettando quella che meglio si confà alla voglia del momento. A seconda della foto di profilo che metto (e non ne metto mai di provocanti), noto che aumentano le richieste di amicizia da perfetti sconosciuti, a cui scatta il mio messaggio "Ci conosciamo?" (tante volte avessi rimosso). Il migliore è stato quello che mi ha risposto "No, non penso, ma nulla ci impedisce di farlo........." (sì, con tutti questi lascivi puntini di sospensione).
Altra fattispecie è quello che in chat è un leone, un incrocio tra Robert Redford e Franco Califano, e poi dal vivo resta lì, muto e dimesso, paralizzato dall'imbarazzo. Magari sarebbe utile rifletterci un po' prima, attivare quella specie di spugna che ti separa le orecchie e pensare che, se mi racconti vita morte e miracoli e ti lanci in mille sottintesi, poi, quando mi incontri, ti senti già un po' sputtanato davanti a una che non conosci. 
Sì, perché, sfatiamo un mito: le persone NON le conosci in chat, per varie ragioni, una su tutte il fatto che siamo anche corpi, non pure essenze intellettive, e un corpo è fatto di forme, colori, movenze, odori.
E se è vero che solo il 7% di quello che diciamo passa dal contenuto, ha davvero senso comunicare in questo modo, cercare di costruire ponti che poi alla fine sono fatti di carta? Non so quanti litri di lacrime io abbia asciugato (un bicchierino anche mie, temo) a causa di "mi sembrava...e invece" legati alla rete, forse perché in fondo ci spaventa accettare che una parte significativa della riuscita di una relazione passi da un'intesa a pelle, incontrollabile e incoercibile, e che in effetti la versione splendida ed epurata (ma plasticosa) di noi e degli altri che abita la rete in realtà non esiste, ma è sicuramente meno interessante di quella piena di difetti e goffaggini che vive nel mondo reale. 
Io, per dirne una, in foto vengo praticamente sempre male, e non tolgo mai i tag.Sono uno dei rarissimi casi in cui, se mi incontraste fuori facebook, probabilmente pensereste "beh, pensavo peggio!". 
Nel caso, ecco, abbiate il garbo di non dirmelo.

mercoledì 20 giugno 2012

Iron man


La mia amica Paola mi chiama, ieri, ridendo. Di primo acchito penso che, finalmente, abbia definito un qualche abbozzo di relazione con il bel tenente dell’aereonautica con cui esce ormai da un paio di mesi. E invece no. Mi dice che si sono sentiti, e che lui (dopo 15 giorni di orari speculari e quindi di assenza reciproca) non poteva vederla, quella sera, perché doveva stirare la divisa.
Ora.
Mi ci sono voluti alcuni minuti per cogliere il significato delle parole appena sentite, e altri al mio cervello elementare per verificare di aver compreso effettivamente il messaggio, le cui parole chiave sono: donna, uomo, aeronautica, stirare.
Che ci sia qualcosa che non va nei rapporti uomo-donna ormai si sa. Il mio cellulare raggiunge talvolta temperature sopra il livello di guardia nel veicolare i reportage sull’inettitudine maschile che le mie amiche realizzano con dovizia di particolari. Non le lamentele classiche da romanzo d’appendice (“Non c’è mai”, "beve", “mi tradisce”, “mi picchia”, “non si lava”), ma una nuova serie di lagnanze, preoccupante in quanto apparentemente poco sane. Mi chiedo infatti che fine abbia fatto il buon vecchio istinto di conservazione della specie, che dette origine a molti proverbi dal carro di buoi in giù, e che poneva la donna (intera o in quota parte) due spanne sopra qualsiasi (e sottolineo qualsiasi) altro interesse. Sì, cari maschietti, sopra la playstation, sopra il campionato, la moto gp, persino sopra il ferro da stiro. Al tempo dell'Antico Testamento, un uomo che si sposasse era esentato per un anno dal servizio militare: non poteva andare in guerra perché doveva far contenta la moglie. E' vero che gli Ebrei non sono mai stati la potenza militare del Mediterraneo, ma insomma è indicativo di un certo ordine di priorità.
E allora, ampliando un po' la visione sul fenomeno e creando uno dei miei soliti arditissimi collegamenti, magari questo apparente calo di interesse può avere a che fare con una maggiore disponibilità dell'oggetto del desiderio: ovunque ci si volti si trovano immagini di donne nude o quasi, e i locali traboccano di ventenni allegre e trentenni in famelica ricerca del "pollo" che danzi al ritmo del proprio orologio biologico, possibilmente prima che giunga la data di scadenza. Mettiamoci anche che ormai ci si aspetta che ogni donna sia la versione sexy di wonder woman (bella, magra, soda, laureata, lavoro fisso, indipendente sotto tutti i punti di vista, madre, tutto entro i 35 anni), relegando il maschio a poco più che un fuco, che espleti il senso della propria esistenza nel giro dei minuti necessari al/ai concepimento/i e forse si spiega questo tragico passo indietro. Chissà se in futuro noi donne ci trasformeremo gradualmente in ermafroditi, totalmente autosufficienti, e allora davvero l'uomo dovrà trovarsi un ruolo che gli permetta di non estinguersi.
Magari la colf.

lunedì 11 giugno 2012

Hair

Allora, ho capito. 
Uomini, vi lancio un messaggio una volta per tutte: ho capito che secondo voi stavo meglio con i capelli lunghi. Ho capito che i boccoli vi incantano, le onde vi ipnotizzano, sospetto per un vago richiamo al momento romanzato e atavico in cui sciogliete le nostre chiome e ciocche fluenti piovono ovunque, preludio di altri ben meno stilnovisti piaceri. E questo indipendentemente dal fatto che una possa avere un capello crespo-mezzo-liscio-mezzo-mosso tipo il mio, che non regge una piega manco a piangere e che lungo ricorda vagamente una cascata di bietole al vapore.
Però, c'è un però. 
Io mi piaccio di più così. Da quando ho tagliato la chioma, il mondo delle mie conoscenze s'è spaccato nettamente in due: da una parte le donne, i gay e pochissimi maschi illuminati, che inneggiano un "mannaggia dovevi farlo prima!" con toni da Hallelujiah di Handel, dall'altra quasi tutti gli uomini che conosco che mi guardano come se mi fossi schizzata l'acido muriatico in faccia, e che quando mi infichetto per un meeting importante al lavoro mi dedicano commenti tipo "complimenti...però...peccato...".
Diciamo che si tratta di una pressione psicologica importante, che ti mette di fronte a una scelta: assecondare il tuo senso estetico (e quello nettamente superiore delle tue simili e degli uomini del lato oscuro della luna) oppure andare incontro alle preferenze di mercato, rendendoti più appetibile a quello che dovrebbe essere il tuo "target"? In realtà questa domanda all'apparenza scontata cela un dilemma tutt'altro che immediato, che si allarga fino ad abbracciare tutta la nostra esistenza, continuamente lacerata nella scelta tra seguire i nostri gusti, valori e decisioni o lasciarsi condizionare dalla massa per sentirsi accolti, e quindi meno soli.
Ma non dimentichiamoci che tutto ha un prezzo, come cantava Carmen Consoli ne "l'eccezione" (anche lei un'altra che ha tagliato tutta la cofana), e che, alla fine, nel profondo di noi, dobbiamo rendere conto solo a noi stessi e a Qualcun altro, che peraltro è follemente innamorato di noi, qualsiasi lunghezza abbiano i nostri capel

sabato 9 giugno 2012

Ken T.V.B.

Nel mio coma da sabato mattina, con tazza di latte in mano e maglietta di radio DJ ormai lisa, stavo guardando i cartoni su italia 1 quando è partita la pubblicità. In mezzo a macchinine e bambolette varie spunta lui, Ken T.V.B., e il mio cervello improvvisamente si allerta. C'è il solito babbasone dell'eterno fidanzato di Barbie, forse giusto attualizzato con un ciuffo biondo molto primi anni 90. La voce in sottofondo dice entusiasta, che Ken T.V.B. è il fidanzato perfetto!!! E questo perché sulla schiena ha un bottone per registrare la tua voce e uno per riprodurre quello che dici con voce maschile. Quindi la sua perfezione sta nel dirti esattamente quello che vuoi sentire. 
Ora io mi chiedo. Posto che non sono una pedagoga e che di bambini ne so molto poco, che tipo di concetto/idea di uomo passa alle donne di domani? E' così vero che il fidanzato perfetto è quello che ti dice quello che vuoi tu? 
Ogni volta che entro in questioni vagamente qualunquiste su uomini e donne mi sento un po' in colpa, perché in fondo mi scoccia generalizzare e perché mi torna in mente la Genesi: "a sua immagine li creò, maschio e femmina li creò"; ognuno ha la sua specificità di singolo, ma anche di genere. E la specificità arricchisce, ma a volte divide, e rende necessaria la fatica di uscire da se stessi per incontrare un altro che abbia le sue opinioni, il suo modo di pensare e di reagire, che a volte sembri avere la sensibilità dello scarico del lavello e la capacità comunicativa di un cactus. Senza aspettarsi di trovargli un bottone sulla schiena che risolva tutto.

sabato 2 giugno 2012

"A cosa stai pensando?"

C'è una domanda che quasi sempre trasforma una situazione domestica tranquilla in una specie di Pearl Harbor. 
Lui e lei sul divano. 
Lei si volta e chiede "A cosa stai pensando?". 
Lui risponde "a niente". 
"Non è possibile pensare a niente" replica lei. 
E da lì parte la tragedia.

Ora. 
L'intenzione di questo post è mediare tra le parti, quindi mi rivolgerò separatamente alle due categorie coinvolte.
Donne: l'uomo è diverso da voi. Lui riesce a non pensare, a volte. So che è difficile capirlo, io stessa accetto questa realtà solo per fiducia nei carissimi amici che me l'hanno rivelata, ma credeteci, quando lui dice "niente", è NIENTE! Nada, nix, zero, null. Vuoto pneumatico. Elettroencefalogramma piatto. Vanno in stand by come il laptop quando lo chiudi senza spegnerlo. Son fatti così.
Uomini: la donna è diversa da voi. Lei NON riesce a non pensare. Lei pensa SEMPRE a qualcosa. Alla spesa, al lavoro, alle amicizie, alle cose da fare, le persone da chiamare, a se stessa, alle proprie emozioni o all'interpretazione delle vostre, alla situazione geopolitica mondiale, alle balene in via d'estinzione, agli orari di apertura dell'outlet, al bollettino per la mensa dei bambini, al piumone da ritirare in tintoria e via dicendo. Ciò significa che "niente" non è una risposta che ella può concepire alla domanda in questione.
Quindi? Io avrei una proposta. 
La prossima volta che lei, voltandosi, vi chiederà angelica "a cosa stai pensando?" voi rispondete semplicemente "a te".
Semplice.
Veloce.
Chirurgico.
Con ogni probabilità lei sorriderà, e, in silenzio, ricomincerà a pensare.
A voi.

domenica 22 aprile 2012

As time goes by...


L’ultimo video di Madonna mi ha folgorata: la Vero ha l’età di mia madre (gloriosa classe 1958) ma non credo di aver mai avuto un fisico come il suo in vita mia. E voi direte: “bella forza, lo fa di mestiere”. Sì, peccato che a 50 anni passati tra una vita come la sua, i figli e i matrimoni (solo quello con Sean Penn mi avrebbe disfatta completamente) la vecchia gallina fa ancora un ottimo brodino, mentre io, a trenta scarsi, assisto a un crollo generalizzato paragonabile all’inabissamento di Atlantide. Eh oh, c’est la vie.
Certo, sarebbe da acide andare a guardare i dettagli, vedere che quella coscia è sì smilza e soda, ma è indubbiamente una coscia di mamma, se non quasi di nonna. E visualizzo la cara Maddy tra vent’anni, ormai ultra settantenne, con un inossidabile body rosso, piena di botox fino agli occhi, che si dimena ancora come una biscia (con più prudenza, magari...sai, l’osteoporosi...) e mi chiedo per quale legge perversa alle donne sia proibito invecchiare. Viviamo 10 anni struccate, 20 ad abbellirsi e il resto della vita a cercare di dare l’impressione che il tempo per noi si sia fermato. Ma, alla fine, perché?
Virginia Woolf diceva “con tutto il tempo che ho passato a guardarmi allo specchio, avrei potuto imparare il greco” e diciamo che lei non era esattamente la Paris Hilton del Novecento. E mentre, alla faccia nostra, Rita Levi Montalcini compie allegramente centotré anni, finisco di guardare la mia amica Ciccone, qui, che si contorce con un reggiseno leopardato a mezza vista simulando l’allattamento di un cicciobello...forse non è quello fisico, l’unico invecchiamento di cui ci dovremmo preoccupare...


mercoledì 18 aprile 2012

Nel mezzo del cammin di nostra vita...

Ormai è ufficiale: i trenta sono i nuovi cinquanta. Parliamo di età, chiaramente. Una nuova tendenza si affaccia sulla scena della socio-psichiatria mondiale, ed è il fenomeno delle crisi di mezz'età in anticipo sulla tabella di marcia di una ventina d'anni. Avevo cominciato a nutrire sospetti qualche tempo fa, notando improvvisi cambi di rotta in soggetti fino ad allora più o meno normali: tutti attorno ai trent’anni, anno più anno meno. Mentre finora lo stereotipo ci proponeva il cinquantenne con capello alla Guido Panatta, pelle color Lindt e macchina rossa (decappottabile) o, peggio ancora, moto (lui che prima di allora aveva guidato solo la lambretta dal ’75 al ’77), adesso assistiamo a trentenni in preda a crisi adolescenziali fuori tempo massimo: capelli di ogni foggia e colore, cambi di partner allo stesso ritmo della biancheria intima e vita notturna da Erasmus anche se il giorno dopo si timbra il cartellino entro le 8. Forse parte della responsabilità è di una società che ci spingerebbe a non crescere mai, facendo sì che, ai primi bilanci, i trentenni si sentano in dovere di regredire di almeno dieci anni, per rincorrere una giovinezza che ormai dovrebbe evolvere naturalmente verso l’età adulta. Ma buttare il cappello in aria, se da una parte è la sostanza stessa della libertà, dall’altra genera un senso di smarrimento incolmabile. E lo vedi, eccome. Lo leggi negli occhi dell’esercito di fighette, pottini, rasta, punkabbestia etc, tutti ultratrentenni e tutti consapevoli che ormai cellulite e calvizie incipiente dovrebbero avergli fatto passare la voglia di conciarsi come adolescenti. Se penso che mia madre alla mia età aveva lavoro, marito e due figli nemmeno piccolissimi mi chiedo se fossero davvero altri tempi o magari non è la nostra generazione che si sia fatta fregare qualcosa. Barattando l’occasione di essere adulti (e quindi governare) da giovani per sfinirsi di aperitivi e feste in discoteca.


martedì 17 aprile 2012

La Cera

Ieri ho passato la cera sul martoriato parquet di casa mia, sperando nel miracolo promesso dall’etichetta: "PULISCE, LUCIDA, PROTEGGE DAI GRAFFI ... con Barriera Protettiva" ... sorridente, già pregustavo una tavola liscia e lucente come cioccolato appena fatto. Il martirio del parquet non ne ha avuto particolare giovamento, in compenso quando cammino coi calzini scivolo tipo Tom Cruise in Risky Business e potrei anche produrmi nel medesimo numero in playback, magari con una voce un filo meno maschia di quella di Bob Seeger, se non fosse che nel mio caso il Business sarebbe Risky perché potrei rovinare a terra sfasciandomi un'anca.
Allora mi parte uno dei soliti film filosofici e vedo questo scivolare come una metafora della vita, divisa tra chi pattina leggero sulle difficoltà e chi invece sdrucciolando si dimena in curva per non cadere. E' tutta questione di grazia e allenamento o c'è chi nasce già predisposto a una vita di splendide figure con costumi luccicanti, mentre la maggior parte di noi è condannata a subire i tiri meschini della forza di gravità? Ma soprattutto, se scivolare è ballare ad attrito ridotto, vale la pena passare sulla superficie delle cose senza toccarle veramente? E' così terribile cadere?
In attesa di una risposta definitiva, mi alleno a volteggiare come Karolina Costner alle Olimpiadi, tanto che potrei sfruttare quest’occasione per imparare a fare i salti carpiati, magari cercando di non atterrare nell’armadio.