lunedì 7 ottobre 2013



Giovedì, 3 Ottobre 2013.


Secondo giorno ad Aberdeen dopo la Sardegna. Piove. Ho sfondato il muro psicologico dell’accensione del riscaldamento, per cui suppongo sia arrivato l’inverno. Considerando che lunedì ho fatto l’ultimo bagno in mare, non mi lamento.  Stavolta non ho notato nemmeno il solito straniamento linguistico rientrando dall’Italia, forse perché stavolta sono rimasta davvero poco (cinque giorni), o forse sto cominciando ad assimilare la nuova lingua. Le giornate si accorciano velocemente, ormai (ma sarà anche colpa del brutto tempo) la mattina esco con i lampioni ancora accesi, e il pensiero di non sapere fino a che punto sarà buio mi fa attendere con una certa impazienza l’apice dell’inverno, per poter finalmente dire a me stessa che non è poi così terribile. Oggi mi vedo con Pilar, una ragazza colombiana conosciuta in parrocchia, che aspetta un bambino (o bambina) per la fine del mese. Qui  in Scozia non dicono il sesso del nascituro neanche a chiederlo, pare a causa di un processo vinto da una coppia a cui avevano dato l’informazione sbagliata.
Non è facile (ri)farsi un giro di amicizie, non lo è mai stato in nessuno dei miei trasferimenti, ma qui la barriera linguistica (e culturale) ha il suo peso, rendendo più difficile la confidenza e, quindi, più lento l'avvicinamento. A volte vado con il pensiero (o la fantasia) al prossimo viaggio, ma è una tentazione che cerco di arginare, perché penso che finché non riuscirò a stare nel Qui-e-ora non inizierò a mettere radici. Ieri ho finalmente messo nel loft tutte le scatole con gli utensili da cucina che ho trovato in casa: siccome uso i miei questi mi avanzavano, ma  non trovavo il coraggio di salire in soffitta per la mia fobia dei topi, ma in qualche modo ce l'ho fatta, e ora il salotto sembra molto più grande, oltre che più ordinato. 
Ecco, messaggio di Pilar: andiamo a vedere "Blue Jasmine", l'ultimo di Woody Allen...o bene bene o male male...

Stay tuned.

S

domenica 2 giugno 2013

Messaggi Stupliminali.

Mi scoccia sempre tornare su argomenti già trattati, ma ci sono cose di cui non riesco a farmi una ragione, tra cui il linguaggio surreale delle pubblicità, specie rivolte a donne.
Ad esempio. La Dove e' da anni una delle marche che apprezzo di piu', in particolare per la campagna "per la bellezza autentica" che promuove un concetto piu' ampio e creativo della bellezza femminile, stimolando l'autostima specie delle ragazze piu' giovani. Ma io mi chiedo: da quando in qua lo stato delle mie ascelle deve essere un problema? Non parlo della depilazione, chiaramente, che non e' affar loro, ma di un' ipotetica idratazione delle ascelle che ora sembra essere indispensabile. E il meccanismo pubblicitario e' talmente malato che tu vedi lo spot e non e' che pensi: "ma che stai a di'?!". No. Tu guardi queste sgallettate con le braccia perennemente su e trasalisci: "Ommioddio! Non ho mai idratato le ascelle!!!"

Vogliamo parlare di quando e' partita la bambola della BB cream? Io ci ho messo un anno e mezzo solo per riuscire a capire cosa volesse dire BB (che finora per me poteva essere al massimo la sigla di Brigitte Bardot), e mi sentivo l'ultima delle dementi perche' se ne parlava come se fosse acqua gassata: e la bb cream di qua, e la bb cream di la'...e alla fine l'ho trovata in profumeria ed e' una crema colorata, ce l'aveva gia' mia madre negli anni 80 (me lo ricordo perche' una volta me la sono spalmata in faccia a sette anni per fare la ganza e manca poco mi scuoio).

Tante volte mi chiedo perche' la pubblicita' abbia vita cosi' facile nell'ambito della bellezza femminile. A vari livelli, siamo tutte ossessionate dalla paura di invecchiare e tutte irresistibilmente attratte dalla possibilita' di apparire piu' belle di come siamo in realta'. Una volta un mio amico mi disse "non capiro' mai voi donne: volete piacere agli uomini e per farlo vi fate consigliare dai gay".

In effetti...

giovedì 23 maggio 2013

Smelly days

Rieccomi, ahime' non costante quanto vorrei, ma speranzosa in miglioramenti imminenti.
L'impatto con la Scozia devo dire e' stato nettamente sopra le aspettative: piove meno di quanto pensassi, il freddo e' sopportabile, i colleghi non cosi' sociopatici come si direbbe.

Pero'.

Come gia' paventato in precedenti post, il concetto di igiene quassu' rappresenta il principale ostacolo al dialogo tra i due estremi dell'Europa, che sotto questo aspetto non potrebbero essere piu' lontani. 
Lasciando da parte le infime illazioni di certi compatrioti (uno, in realta') che in questi giorni mi ha accusato di essere alquanto schizzinosa, ci sono aspetti (tipo la moquette a pelo medio-lungo in bagno, a cui con tutta la buona volonta' non riesco ad arrendermi) che sono indicativi, secondo me, del livello culturale raggiunto (o meno) da un popolo. Seguono a ruota l'assenza di tovaglie (anche di carta) in quasi tutti i posti in cui si mangia, orripilanti promiscuita' di spugne e lavastoviglie nel cucinotto dell'ufficio, ma soprattutto un ambiente olfattivo alquanto esotico.

Vorrei soffermarmi su quest'ultimo aspetto, un po' perche' l'odorato e' il senso che forse ho piu' sviluppato (o forse l'ultimo che mi e' rimasto intatto), un po' perche' rappresenta il vero, piu' evidente e massivo marchio di differenza con l'Italia.
Dimentichiamoci le scie dei principali profumi di grido che potevamo intercettare in ufficio o in treno. Abbandoniamo quel soave olezzo da luogo di ritrovo serale, quando tutti o quasi sono passati da casa per una doccetta veloce.
Qui chiunque emana almeno un lieve tanfo di umidita', che si aggrava quando piove, generando il nauseabondo effetto canide.
Lunedi', per dire, c'e' stata l'esercitazione anti incendio, quindi l'edificio e' stato evacuato, passando tutti insieme dalle scale. Al rientro, sembrava che vi fosse stato transumato un gregge misto pecore e capre.

Persino il mio giovane e simpatico collega, qui davanti, pur sedendo a circa 2 metri da me non mi risparmia zaffate tali da far pensare che tra sei mesi potrei avere i capelli rossi come Holly Hobbie.

Ma siamo davvero noi i fissati con la pulizia e l'improfumamento? E' cosi' terribile pensare di mantenere sotto controllo cio' che di noi risulta sgradevole? Viviamo nell'era dello spontaneismo, il cui mantra e' "fai quello che ti senti", spostando dalla testa alla pancia il centro delle decisioni, raramente passando dal cuore.

Ma e' cosi' indubitabilmente giusto lasciarsi andare alla manifestazione di tutti gli aspetti (anche negativi) di noi, senza curarsi dell'effetto che questo avra' sugli altri e la loro liberta'?

Io, per non sbagliare, nel frattempo credo che usero' i tappi per le orecchie in modo creativo.

lunedì 1 aprile 2013

La pazienza dei pazienti

Lo so. Sono stata latitante. Manco da mesi su questi schermi e so che per molti di voi questa assenza sarà stata fonte di disperazione (via su...). Vi chiederete che fine avessi fatto. Beh diciamo che ho avuto il mio bel da fare, e questo vi porta diritti all'argomento di questo post.
Mi auguro che nessuno dei miei lettori abbia (nè ora né mai) problemi di salute. Prima che cominciate a sollecitare le pudenda, ci tengo a precisare che, oltre all'ovvietà dell'augurio riguardo la perfetta condizione fisica di chiunque, c'è un aspetto che può rendere ancora più penosa qualsiasi indisposizione, ed è il Servizio Sanitario Nazionale. 

Supponiamo che tu soffra di un disturbo qualsiasi. Il medico generico ti prescrive una visita specialistica presso gli ambulatori ospedalieri. Chiami il centro prenotazioni. Con la Primavera di Vivaldi in sottofondo, una voce ti comunica che "la tua chiamata è la numero...........tredici in attesa", intimandoti di non mettere giù per non perdere la priorità acquisita (non sia mai).
Circa mezz'ora dopo, "la tua chiamata è la numero...........uno in attesa" e finalmente ti risponde una signora che sembra si sia appena svegliata (male) e ti chiede i dati della prescrizione, dopodiché "vediamo.....mercoledì alle settemmezzo. Si ricordi di presentarsi mezz'ora prima per l'accettazione".

Mercoledì, ore sette del mattino: dopo una sveglia indecente ti presenti ai cancelli degli studi medici ospedalieri. Albeggia. Superi la fila di anziani che affolla l'ingresso del centro prelievi (mezz'ora prima della sua apertura, in una freddissima mattina di febbraio, a conferma della resistentissima fibra della generazione precedente) e ti dirigi all'accettazione. Prendi il numero. Quattro. Ancora non hanno iniziato a ricevere i pazienti perché il banco accettazione apre alle 7:15. Guardo l'orologio: sette e due...e tre...e cinque...la fila di attesa si ingrossa..sette e otto...una delle signore dell'accettazione si impegna nell'applicazione dei principi feng shui alla sua scrivania. Alle 7:15 aprono gli sportelli, tocca a me. La signora (evidentemente parente di quella che risponde al telefono) mi indica il numero della stanza e il piano a cui mi devo recare. Arrivo alla stanza. Siamo in fila per una seconda accettazione. Arrivo al bancone e un'infermiera riempie due fogli, poi mi dice che devo pagare 30 euro alla macchinetta al piano terra. 
Torno giù e la macchinetta non accetta il mio bancoposta, non ho contanti quindi devo uscire dall'edificio e andare a prelevare alla banca 50 mt più in là. Prelevo, torno alla macchinetta, che nel frattempo causa guasto non accetta più contanti, ma solo bancomat (escluso bancoposta, s'intende).
Respiro profondamente, invocando la Mitezza sovrannaturale dei santi anacoreti, dopodiché chiamo l'inserviente dal gabbiotto lì accanto, il quale, partecipe delle mie difficoltà quanto mia madre nel conflitto del Darfur, mi suggerisce di tornare alla banca a pagare il ticket direttamente lì. Esco di nuovo, vado allo sportello, dove il commesso, al solo scrutare il mio sguardo fiammeggiante, mi sbriga il pagamento in settantacinque secondi netti.
A questo punto torno dalle infermiere, e, finalmente, vengo visitata.


E poi uno si chiede perché i medici ci chiamino "pazienti".