venerdì 28 settembre 2012

Su suggerimento di un mio amico, oggi approdiamo a uno degli argomenti più "caldi" del panorama mediatico internazionale, uno dei pilastri del mondo contemporaneo, ovvero il rapporto tra donne (nella fattispecie, me) e tecnologia. Ora, io capisco l'utilità di certi dispositivi. Capisco anche che il mondo vada avanti e non si possa continuare a scrivere con carta fatta a mano e piuma d'oca (perché non si può, vero?), ma con sempre maggiore frequenza emergono elementi che mi fanno seriamente pensare ad una nevrosi di massa. 

Esempio.

Nel silenzio dell'open space semideserto del venerdì sera, si ode una serie di rutti: ineducazione? Ministre du Petrol del Giappone in visita alla Mega Ditta?  Macché: uno dei miei stimatissimi colleghi sta semplicemente provando una nuova applicazione del suo iphone che riproduce suoni corporei di ogni sorta con un certo realismo.

E lì io mi chiedo quanto effettivamente qui si parli di progresso in senso stretto, ovvero se una maggior sofisticazione dell'elettronica ci stia portando effettivamente a diventare migliori.

Io per dire ho seri problemi con il touch screen. Normalmente le mie mani vengono considerate anche piccoline, ma sembra che non riesca ad avvicinarmi ad un tasto senza premerne almeno tre contemporaneamente. I risultati sono imbarazzanti: frasi prive di ogni senso compiuto, neologismi, parole in libertà che nemmeno Marinetti sotto benzedrina. E questo è niente. Ho scoperto di avere un nemico giurato, un subdolo persecutore che mina alla base la mia salute mentale: il T9. Mi viene spontaneo qui chiedere all'inventore di questo sistema di suggerimento che tipo di acido si fosse sparato negli attimi decisivi della progettazione. In base a quale principio, ad esempio, se scrivo "conosco", come primo suggerimento esce "bplqtcp"? Il più diabolico però è quello con il suggeritore di parole: io mi impegno con tutta me stessa a premere i micro-tastini giusti e cosa viene fuori? Messaggi tipo "Ciao come mai?apri giraffa quando premi su del". Roba che presto o tardi mi troverò la neuro alla porta di casa.
Oppure posso vestirmi di nero e sostenere di essere l'unica scrittrice di un nuovo para-linguaggio che vuole rappresentare, attraverso un uso estemporaneo del non-senso, la precarietà delle certezze del nostro tempo.
O qualche altra baggianata del genere.

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